Gli hikikomori: chi sono e come aiutarli

hikikomori

Hikikomori è un termine giapponese il cui significato letterale è “stare in disparte, isolarsi”. Si utilizza per descrivere una condizione psico-sociale riguardante bambini, adolescenti e giovani adulti al di sotto dei 30 anni, e si caratterizza per una forma estrema di ritiro sociale, ovvero per la tendenza a evitare qualsiasi coinvolgimento nella vita collettiva.

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Cos’è l’hikikomori?

La parola “hikikomori” descrive sia il fenomeno sia la persona che ne soffre.

Il termine fu utilizzato dallo psichiatra Saito Tamaki agli inizi degli anni Novanta proprio per descrivere la condizione di questi giovani ritiratisi dalla vita sociale.

Tra i segni che possono essere caratteristici di hikikomori, troviamo:

  • fobia scolare e ritiro scolastico;
  • antropofobia;
  • agorafobia;
  • sintomi ossessivi e compulsivi;
  • apatia;
  • letargia;
  • umore depresso;
  • pensieri di morte;
  • tentato suicidio;
  • comportamento violento contro la famiglia, in particolare verso la madre.

Spesso, in questi casi, l’isolamento acquisisce una funzione di difesa nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, all’interno di un contesto sociale in cui il giovane non si riconosce.

Voglia di isolamento sociale

Uno dei sintomi principali dell’hikikomori è quello di “segregarsi” nella propria camera per mesi, anni o addirittura decadi, avendo minimi contatti anche con i familiari più stretti, dai quali però si mantiene una stabile dipendenza economica. Succede, spesso, che il ragazzo o la ragazza hikikomori si allontani progressivamente dal proprio gruppo di coetanei, in modo apparentemente ingiustificato.

Essi, infatti, hanno uno stile di vita centrato sulla casa (più spesso, una sola stanza), sono soliti pranzare e cenare nella propria camera e si recano in bagno con percorsi che, per tacita intesa familiare, vengono lasciati il più possibile non frequentati. Infatti, in alcune circostanze, non hanno scambi comunicativi neanche con i membri delle loro famiglie. Vi è, inoltre, la tendenza a invertire i ritmi circadiani, dormendo durante il giorno e restando svegli durante la notte. Si interrompe ogni rapporto con il mondo della scuola, dell’università o del lavoro. Decidere di non andare a scuola, infatti, sembrerebbe essere il passo principale per sprofondare nella patologia dell’hikikomori. Molti adolescenti hikikomori esibiscono un atteggiamento di avversione per il mondo scolastico.

L’assenza dalla classe può prolungarsi per settimane o mesi interi, il contatto con gli altri studenti è fonte di disagio, che può essere spiegato da abilità sociali poco sviluppate. Tale modalità è tipica dei disturbi d’ansia, in quanto si evita di entrare in contatto con la situazione temuta. Questo rinforza i timori e la strategia disfunzionali di fronteggiamento.

Il disturbo d’ansia sociale (DAS), in particolar modo, si caratterizza per una marcata sensibilità verso il giudizio altrui, da una paura di essere oggetto di scherno e di valutazioni negative, con sentimenti di inadeguatezza e inferiorità, impattando negativamente sull’autostima. L’evitamento delle situazioni sociali risulta essere, allora, la strategia comportamentale più utilizzata dalle persone con questo disturbo, e più i comportamenti di evitamento si generalizzano, maggiormente il disturbo diventa invalidante.

La correlazione tra l’aumento dei casi e la pandemia da Covid-19

Negli ultimi anni, la società ha vissuto momenti difficili a causa della pandemia da Covid-19, che ha costretto milioni di persone all’isolamento forzato per ridurre i contagi. Questa forma di isolamento, però, differisce da quello volontario e consapevole degli hikikomori per la percezione della solitudine che, nella maggior parte dei casi, era ascrivibile all’assenza di contatti sociali e relazionali. Per gli hikikomori, invece, si è trattato e si tratta di solitudine psicologica, in quanto viene sperimentata anche in presenza di altri.

Gli individui in una situazione di rifiuto sociale volontario già prima della crisi sanitaria, hanno potuto sperimentare, con l’arrivo delle chiusure, un sollievo per quanto riguarda la pressione sociale e il disagio per la loro situazione. In più, si sono sentiti legittimati e, di conseguenza, uguali alle altre persone.

Tale periodo ha portato a far diminuire le pressioni sociali, perfino da parte dei familiari, e in generale ha abbassato la preoccupazione durante il periodo di lockdown. Ciò è stato dettato dal fatto che le persone recluse volontariamente sono state scambiate per reclusi forzati.

Ma qual è stato l’impatto della pandemia sugli hikikomori? Una ricerca condotta da alcuni studiosi ha provato a individuare se il cambio della routine e l’aumento delle ore trascorse online possano aver aumentato il rischio di diventare hikikomori durante il lockdown. In tal senso, sono state analizzate le risposte di più di 800 ragazzi e ragazze da tutto il mondo, al fine di comprendere se il cambio sociale e tecnologico dettato dalla pandemia avesse aumentato il rischio di diventare hikikomori.

Lo studio è stato condotto seguendo la scala di rischio NEET- Hikikomori, la quale viene utilizzata per comprendere se nelle persone c’è il rischio di sviluppare una di queste condizioni. La ricerca ha evidenziato come primo fattore di rischio l’aver passato molto tempo in casa durante i mesi di lockdown. Ciò significa che chi ha passato più tempo in chiusura forzata può essere più propenso a trasformare la quarantena imposta in volontaria. Di fatti, sono stati registrate correlazioni positive tra le persone che hanno passato molti mesi in lockdown e i risultati della scala NEET-Hikikomori.

Per quanto riguarda l’utilizzo di internet, il quale viene molte volte accostato agli hikikomori, è emerso, invece, come l’aumento delle ore online durante il lockdown sia un fattore protettivo per non sviluppare la sindrome. Analizzando meglio l’elemento, è emerso come l’utilizzo di social network sia riuscito a sostituire le relazioni faccia a faccia, arginando il problema della solitudine e facendo tenere in contatto le persone, seppur in modo virtuale.

La seconda questione analizzata riguarda il gaming. Esso, a differenza dei social network, è annoverabile tra i possibili fattori di rischio anche durante la pandemia. Dipende dal diverso modo di vivere la socialità: se quella dei social ha in parte sostituito quella reale, il gaming non riesce a farlo. La ricerca ha evidenziato come le persone che passano molto tempo giocando sia online che offline non hanno interazioni sociali e che queste ultime, se ci sono, sono solo collegate al videogiocare online. Cosicché, l’aver passato troppo tempo sulle piattaforme da gaming ha diminuito il tempo di socializzazione, ed esso è diventato un fattore di rischio che è correlato con il diventare hikikomori.

Come relazionarsi a una persona che soffre di hikikomori

Quello degli hikikomori è un problema complesso e sfaccettato, diverso per ogni caso, dove cause e fattori si intrecciano con il tessuto familiare, sociale e con l’individuo stesso.

Pertanto, le soluzioni non possono essere di natura generale e standardizzata, ma devono essere modificate e personalizzate in base al soggetto che ne è affetto, al grado di rifiuto della socialità e alla voglia di uscire da essa.

In secondo luogo, determinate modalità non possono essere accettate come soluzione per trovare rimedio alla chiusura degli hikikomori. Per esempio, strappare il soggetto dalla situazione di esclusione, metodologia provata in Giappone, non ha portato a nessun tipo di risultato, anzi ha peggiorato ancor di più la situazione delle persone che già si trovavano in difficoltà, portando ad aumentare la loro sfiducia verso le istituzioni e la società in generale.

Hikikomori e psicoterapia

Come già accennato, un’imposizione da parte della società, o anche dei genitori, non fa altro che aumentare le barriere tra il recluso e il mondo, rendendo in realtà i tentativi di soluzione promotori di isolamento. Di conseguenza, si devono riporre la forza e l’irruenza per ricorrere a strategie più utili, come il dialogo e l’empatia.

Non si deve comunque dimenticare che il fine ultimo, quando si intraprende un percorso di terapia con un hikikomori, è il ritorno alla società: questa transizione richiede uno stravolgimento, da parte del soggetto, della routine che fino a quel momento ha scandito le sue giornate. Tale passaggio, fondamentale e delicato, molte volte viene svolto nelle comunità specializzate, il cui scopo è quello di sostenere il cambio di routine e successivamente di fungere da palestra sociale per aiutare la persona a reinserirsi nella società.

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