Molte persone descrivono di vivere una sensazione costante di allerta, come se qualcosa di spiacevole stesse per accadere, pur non riuscendo a identificare alcuna causa concreta. Si tratta di un’ansia che sembra “senza motivo”, una tensione di fondo che accompagna le giornate e che talvolta si manifesta in momenti di apparente tranquillità.
Questo tipo di ansia è tra le più disorientanti, perché la mente cerca una spiegazione logica che non trova. È come se il corpo e il sistema nervoso avessero ricevuto un messaggio di pericolo, ma la coscienza non ne conoscesse la fonte. Comprendere e gestire questa forma di ansia richiede un lavoro che coinvolge mente, corpo e comportamento, con l’obiettivo di ristabilire un senso di sicurezza interna e di fiducia nella propria capacità di affrontare la realtà.
Quando l’ansia sembra “senza motivo”
L’ansia è una risposta naturale dell’organismo, un sistema di allerta che si attiva per proteggerci. In condizioni normali, compare di fronte a situazioni di pericolo o incertezza, e si riduce una volta superato l’evento. Tuttavia, in alcune persone questa risposta resta attiva anche in assenza di una minaccia reale. È come se il corpo non riuscisse più a “disattivare” l’allarme.
Quando l’ansia diventa persistente, generalizzata o apparentemente immotivata, può essere vissuta come un’ombra costante, difficile da spiegare o controllare. Si manifesta attraverso sintomi fisici — tachicardia, tensione muscolare, respiro corto, agitazione — ma anche cognitivi, come pensieri ripetitivi o la sensazione di “non sentirsi mai tranquilli”.
Una delle trappole più comuni è cercare con insistenza una causa razionale: “Perché mi sento così? Cosa non va in me?”. Questo tentativo di controllo mentale, per quanto comprensibile, spesso amplifica il problema. L’ansia, infatti, non è sempre legata a un pensiero cosciente: può originare da un sistema emotivo o corporeo che si è attivato autonomamente (1). Quando la persona tenta di “capire” o “eliminare” l’ansia, finisce paradossalmente per alimentarla, perché concentra la propria attenzione su di essa, la monitora e la teme. È il cosiddetto circolo vizioso dell’ansia, in cui la paura di sentirsi ansiosi diventa essa stessa la causa principale dell’ansia (2).
La mente, per difendersi, può generare strategie di controllo inefficaci: evitare situazioni, rimuginare, cercare rassicurazioni, o iper-analizzare ogni segnale del corpo. Questi tentativi — seppur animati da una buona intenzione — mantengono la sensazione di pericolo attiva. È proprio su questo meccanismo di retroazione che la psicoterapia lavora, aiutando la persona a interrompere le tentate soluzioni che mantengono il sintomo, piuttosto che concentrarsi solo sulla sua origine.
Le cause inconsce e fisiologiche
Il corpo parla prima della mente: spesso l’ansia “immotivata” è in realtà un messaggio corporeo che non è stato ancora decifrato. Il respiro che si accorcia, il battito accelerato, la tensione muscolare, l’irrequietezza: tutti questi segnali raccontano qualcosa del nostro stato interno. Il problema nasce quando questi segnali vengono interpretati come pericolosi o patologici, generando ulteriore paura.
Molte persone, infatti, reagiscono ai sintomi fisici dell’ansia con ulteriore allarme (“Perché il cuore batte così forte? Starò male?”), innescando un circolo di ansia dell’ansia. In realtà, il corpo sta semplicemente comunicando un bisogno: spesso quello di scaricare un eccesso di energia, di interrompere un controllo costante, o di dare spazio a emozioni inespresse.
Imparare a riconoscere e ad ascoltare i segnali corporei — senza giudicarli o combatterli — rappresenta un passaggio essenziale nel percorso di gestione dell’ansia. Quando si smette di interpretare il battito accelerato come un nemico e lo si osserva come un’informazione, il sistema nervoso gradualmente si calma. Tecniche di respirazione, grounding o visualizzazione, se guidate da un professionista, possono aiutare a ricreare un senso di padronanza e sicurezza interna (7).
Ma la chiave non è “calmarsi” forzatamente: è accogliere la risposta fisiologica, comprendere il messaggio che porta e, attraverso piccoli esperimenti comportamentali, riaddestrare il corpo a reagire in modo più flessibile. È questo il punto in cui la psicoterapia strategica e le tecniche di autoregolazione si incontrano: l’obiettivo non è eliminare l’ansia, ma cambiare il modo in cui la si vive e la si interpreta.
Come la psicoterapia insegna a gestire l’ansia senza motivo
Quando l’ansia appare “senza motivo”, il lavoro terapeutico non parte dal “perché”, ma dal “come funziona”. Invece di cercare una causa nascosta, l’intervento mira a comprendere in che modo la persona tenta di gestire la propria ansia e come queste strategie, spesso inconsapevoli, la mantengano attiva.
Il primo passo consiste nell’interrompere il circolo vizioso della paura della paura: imparare a osservare le proprie sensazioni senza tentare di controllarle o eliminarle (8).
Il terapeuta aiuta la persona a sviluppare nuove modalità di risposta:
- Sperimentare gradualmente le sensazioni temute, in un contesto sicuro, fino a ridurne la potenza emotiva.
- Interrompere i rituali di controllo (come il monitoraggio costante del corpo o la ricerca continua di rassicurazioni).
- Riaddestrare il respiro e il corpo, per spegnere l’allarme fisiologico.
- Riconnettersi alle proprie emozioni, distinguendo ciò che è realmente pericoloso da ciò
che è solo percepito come tale.
Queste strategie permettono di ridurre progressivamente l’intensità e la frequenza delle crisi, fino a riportare il sistema nervoso a un livello di attivazione fisiologica. La persona impara a fidarsi di nuovo del proprio corpo, a tollerare l’incertezza e a non interpretare ogni segnale come un presagio negativo.
Un altro elemento chiave è la ristrutturazione percettiva: la psicoterapia aiuta a modificare il modo in cui si percepisce l’ansia, trasformandola da minaccia a segnale. Quando si smette di combatterla, l’ansia perde potere. Diventa un indicatore, un messaggero da ascoltare, non un nemico da eliminare.
Nel tempo, questa nuova relazione con le proprie sensazioni permette di sviluppare una maggiore flessibilità emotiva: la persona non cerca più di evitare le situazioni, ma impara a gestirle con fiducia. È un processo di apprendimento esperienziale, in cui ogni piccolo successo nel fronteggiare l’ansia senza evitarla rafforza la percezione di autoefficacia (9).
Il risultato non è una vita “senza ansia”, ma una vita in cui l’ansia non domina più. La persona impara che può convivere con un certo grado di incertezza, che il corpo può reagire senza che ciò significhi pericolo, e che l’assenza di motivo non equivale a perdita di controllo.
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Bibliografia
- Clark, D. M., & Beck, A. T. (2010). Cognitive Therapy of Anxiety Disorders: Science and Practice. Guilford Press.
- Salkovskis, P. M. (1991). The importance of behavior in the maintenance of anxiety and panic: A cognitive account. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 19(1), 6–19.
- McEwen, B. S. (2007). Physiology and neurobiology of stress and adaptation: Central role of the brain. Physiological Reviews, 87(3), 873–904.
- Van der Kolk, B. (2014). The Body Keeps the Score: Brain, Mind, and Body in the Healing of Trauma. Viking.
- LeDoux, J. (2015). Anxious: Using the Brain to Understand and Treat Fear and Anxiety. Penguin Books.
- Sapolsky, R. M. (2004). Why Zebras Don’t Get Ulcers: The Acclaimed Guide to Stress, Stress-Related Diseases, and Coping. Holt Paperbacks.
- Payne, P., Levine, P. A., & Crane-Godreau, M. A. (2015). Somatic experiencing: Using interoception and proprioception as core elements of trauma therapy. Frontiers in Psychology, 6, 93.
- Wells, A. (2009). Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression. Guilford Press.
- Bandura, A. (1997). Self-efficacy: The Exercise of Control. W. H. Freeman.
- Nardone, G., & Balbi, E. (2008). Psicotrappole: I tranelli mentali in cui cadiamo e come evitarli. Ponte alle Grazie.
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