Quando ci sentiamo sopraffatti da emozioni come tristezza, rabbia, stress o ansia, può capitare di trovare rifugio nel cibo. In questi casi, non si tratta di fame fisiologica, ma di un bisogno psicologico: il cibo diventa un mezzo per alleviare il disagio emotivo. Questo fenomeno ha una spiegazione scientifica. Cibi ricchi di zuccheri e grassi stimolano il sistema di ricompensa nel cervello, portando al rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. Questo processo genera una sensazione di gratificazione momentanea che sembra compensare il dolore emotivo, almeno temporaneamente. Tuttavia, questa strategia spesso peggiora il problema a lungo termine, creando un circolo vizioso di dipendenza emotiva dal cibo.
Cos’è l’emotional eating?
Il termine emotional eating si riferisce all’utilizzo del cibo come strumento per affrontare emozioni negative come stress, noia, solitudine o frustrazione, anziché per soddisfare una reale necessità fisiologica.
Questo comportamento si manifesta in modi specifici:
- consumo eccessivo di cibo, anche in assenza di fame fisica;
- predilezione per alimenti altamente calorici, spesso definiti “cibo spazzatura”, che offrono sollievo immediato;
- sensazioni di colpa, vergogna o insoddisfazione dopo aver mangiato, che possono portare a un ulteriore aumento dello stress e alimentare il ciclo.
L’emotional eating diventa un meccanismo di coping inefficace che, pur alleviando momentaneamente il disagio, può avere conseguenze dannose sulla salute fisica e mentale.
Perché sfoghiamo le emozioni sul cibo?
Le ragioni dietro l’emotional eating sono complesse e coinvolgono fattori fisiologici, psicologici e comportamentali.
- Fattori fisiologici
- Il consumo di cibo, in particolare quello ad alto contenuto di zuccheri e grassi, attiva il sistema di ricompensa del cervello, rilasciando dopamina e producendo un senso immediato di piacere. Questo effetto gratificante può diventare una forma di auto-medicazione per gestire emozioni negative.
- Lo stress cronico porta a un aumento dei livelli di cortisolo, che stimola l’appetito e favorisce il desiderio di cibi calorici, intensificando il legame tra emozioni e alimentazione.
- Fattori psicologici
- Molte persone non hanno sviluppato strategie efficaci per gestire emozioni difficili, come ansia o tristezza, e il cibo diventa una soluzione accessibile e immediata.
- La connessione tra emozioni e cibo spesso si sviluppa nell’infanzia. Ad esempio, un bambino che viene consolato con dolci quando è triste o ricompensato con snack per buoni comportamenti può interiorizzare l’idea che il cibo sia una risposta adeguata per regolare le emozioni.
- Fattori comportamentali
- Le abitudini alimentari disfunzionali possono diventare schemi automatici. Quando si associa ripetutamente il cibo al conforto emotivo, questa relazione si rafforza, rendendo difficile rompere il ciclo.
- Il senso di colpa e la vergogna che seguono episodi di binge eating non fanno che alimentare ulteriormente lo stress, spingendo la persona a cercare di nuovo sollievo nel cibo, in un circolo vizioso.
Le conseguenze dell’emotional eating
Sebbene possa sembrare una soluzione temporanea al malessere emotivo, l’emotional eating non porta ad alcuna risoluzione, ma maschera il problema senza risolverlo. Inoltre, può portare a conseguenze significative, tra cui:
- aumento di ansia e depressione, a causa del senso di colpa e della percezione di perdita di controllo;
- rischio di sovrappeso e obesità, con un conseguente aumento delle probabilità di sviluppare patologie come diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e ipertensione;
- riduzione dell’autostima e difficoltà a sviluppare strategie di gestione dello stress più funzionali.
Come affrontare l’emotional eating: strategie e rimedi
La buona notizia è che l’emotional eating può essere trattato efficacemente attraverso interventi psicologici e comportamentali. Tra questi, la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si è dimostrata particolarmente efficace.
Un aspetto centrale della CBT è identificare e modificare i pensieri che alimentano il comportamento disfunzionale. Ad esempio, pensieri come “Mangiare mi aiuterà a sentirmi meglio”, oppure “Non riesco a gestire questa situazione senza cibo”, vengono analizzati e sostituiti con convinzioni più realistiche e funzionali. La terapia aiuta anche a identificare modi più efficaci per affrontare le emozioni negative. Strategie come il rilassamento, la meditazione mindfulness, l’attività fisica o semplicemente parlare con un amico fidato possono diventare valide alternative al cibo.
Attraverso la gestione dei trigger emozionali, il paziente può inoltre imparare a riconoscere i fattori scatenanti (come situazioni stressanti o emozioni specifiche) e a sviluppare un piano per affrontarli senza ricorrere al cibo. La fase finale della CBT si concentra sul rafforzamento delle nuove strategie, prevenendo le ricadute. Questo include la pianificazione per affrontare momenti difficili e il monitoraggio dei progressi nel tempo.
L’emotional eating è un comportamento comune, ma non deve diventare una prigione emotiva. Attraverso il supporto psicologico e, quando necessario, l’educazione alimentare, è possibile rompere il circolo vizioso e sviluppare un rapporto più sano con il cibo. Riconoscere il problema è il primo passo verso il cambiamento. Se senti che il cibo sta diventando un rifugio costante per le emozioni negative, non esitare a cercare supporto: la soluzione è a portata di mano.
Contributo a cura della Dott.ssa Marta Salvati
Bibliografia
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Macht (2021). How emotions affect eating: A review of emotional influences on food selection, food intake, and food choice. Appetite.
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