Ansia

Philofobia: la paura di amare

Mi hai chiesto qual è la cosa che mi fa più paura.
Non è amare, ma essere amati.
Perché amare è un viaggio verso terre nuove
e qualche volta ha a che fare con il nostro ego o con la curiosità e la vanità,
ma accogliere l’amore,
aprire il nostro cuore a quello dell’altro,
significa farsi vulnerabili,
significa accettare di essere feriti.

– Fabrizio Caramagna

Innamorarsi, amare qualcuno ed essere amati a propria volta, può spaventare. Qualcuno entra nella tua vita e diventa così importante che inizi a dedicargli tempo, attenzioni ed energie che, prima, dedicavi a te. Sbilanciarsi in favore di un altro essere umano è naturale, ma per alcuni significa perdere il baricentro. Smettere di essere padroni delle proprie emozioni, del proprio tempo, della propria libertà. La persona che ami ha potere su di te, sul tuo umore, sulle tue scelte. E quando, pensando alla relazione, hai la sensazione di aver perso qualcosa, piuttosto che guadagnato qualcosa, ti ritrai da quella relazione. Fai un passo indietro, o anche di più. Quando innamorarsi non è più qualcosa che accogli con slancio, ma qualcosa che temi, potresti trovarti di fronte ad una condizione chiamata “philofobia”. E che toglie moltissimo alla tua vita.

Cos’è la philofobia

La philofobia descrive, letteralmente, la paura di amare. Il termine deriva dall’unione dei termini “φιλος” (phìlos, amore) e “φοβία” (phobìa da phóbos, panico, paura). Fa riferimento alla paura o all’ansia eccessiva, persistente e ingiustificata di innamorarsi o amare una persona, nonché di essere amati, e quindi di instaurare e mantenere una relazione affettiva. Sebbene questa condizione non trovi spazio nei manuali di psicologia, e non è quindi annoverata in modo ufficiale tra le fobie del DMS-V, la si definisce tale perché ne possiede le caratteristiche, come l’intensità e la specificità.

Perché una paura assuma il carattere della fobia è infatti necessario che:

  • sia riferita a oggetti o situazioni specifiche;
  • la situazione o l’oggetto fobici causino reazioni importanti di paura e/o ansia;
  • la situazione o l’oggetto fobici vengano evitati o, se non possibile l’evitamento, sopportati con sofferenza e difficoltà;
  • le reazioni di paura e ansia siano spropositate rispetto al pericolo reale da essi rappresentato;
  • i sintomi permangono per almeno sei mesi;
  • i sintomi impattino in modo significativo sulla funzionalità quotidiana.

La paura di perdere il controllo della situazione e di sé stessi è una caratteristica tipica delle fobie. In questo caso, la persona philofobica non ha paura dell’innamoramento in sé, ma della propria reazione quando si innamora, poiché teme di non essere in grado di controllarsi e di finire per perdere sé stessa all’interno della relazione. Ma partiamo dalle basi. Come si evince dai criteri diagnostici sopra citati, la fobia è un concentrato di paura. Per comprendere il funzionamento della philofobia è utile capire meglio cosa succede dentro di noi quando proviamo paura.

Il nostro cervello è dotato di un sistema di “allarme” che usa la paura per avvertirci di un pericolo e permetterci di reagire. Quando abbiamo paura di qualcosa, si attiva un network neurale specifico che comprende aree come ippocampo, amigdala e corteccia prefrontale mediale. Questo network si attiva al rilevamento di una minaccia e innesca una serie di reazioni fisiologiche, tra cui la famosa “fight or flight”, che ci permette di reagire al pericolo preparandoci rapidamente a combattere oppure a fuggire. Questa è la reazione che abbiamo quando ci troviamo già davanti al pericolo, se non è quindi stato possibile evitarlo. La volta successiva, per istinto di autoconservazione, faremo certamente in modo di non trovarci nuovamente in una condizione che riteniamo pericolosa. Questo meccanismo ha un enorme valore adattivo, poiché ha lo scopo di preservare la nostra integrità fisica e psicologica, e lo portiamo con noi più o meno da quando l’uomo ha imparato a camminare. L’uomo preistorico evitava i luoghi nei quali sapeva che potevano trovarsi i grandi predatori, perché ne aveva paura, e ne aveva paura perché rappresentavano per lui un pericolo.

Allo stesso modo, una persona che soffre di acrofobia (paura dell’altezza) difficilmente sceglierà di salire su una terrazza al decimo piano, poiché questa condizione la esporrebbe al pericolo elicitando una gran quantità di paura. Nella philofobia funziona più o meno allo stesso modo: una persona che teme i legami affettivi considera la relazione come un pericolo (lo stimolo fobico, il predatore, il decimo piano), e reagisce ad essa con una serie di condotte di evitamento e con manifestazioni di ansia e paura che diventano invalidanti, specie dal punto di vista sociale.

Come riconoscere la philofobia: i segnali

Come riconoscere quindi la philofobia? Da cosa è caratterizzata? Ecco alcuni dei segnali che la rendono distinguibile:

  • relazioni instabili;
  • paura dell’intimità;
  • scarsa autostima;
  • comportamenti di auto-sabotaggio;
  • eccessiva preoccupazione (che può causare ansia e perfino attacchi di panico) per il futuro delle relazioni o delle probabili relazioni;
  • paura di perdere il controllo di sé;
  • scarsa fiducia negli altri.

È bene, a questo punto, differenziare la philofobia dall’anaffettività: entrambe le condizioni rendono molto difficile portare avanti una relazione. Ma, se, nel primo caso, questo avviene perché le emozioni derivanti dalla relazione vengono vissute come minacciose e, quindi, spaventano, nel secondo caso, vi è una difficoltà di base nel provare le emozioni che spingono alla relazione e quindi si manifesta uno scarso interesse per la relazione in sé. Una persona philofobica tende ad evitare situazioni di intimità fisica e/o emotiva, condizione che, se perpetuata nel tempo, può portare la persona all’isolamento sociale, a sviluppare problemi di ansia e depressione, o a compiere scelte di vita autodistruttive.

Da cosa dipende la paura di amare? Il ruolo dell’infanzia, della cultura e dell’esperienza pregressa

La letteratura in merito alle cause della philofobia è ancora piuttosto scarsa, quindi non si hanno dati certi su ciò che la scatena, ma sono stati individuati diversi fattori che concorrono al suo sviluppo. Nell’infanzia, troviamo il primo di essi: esperienze negative con le figure di accudimento, durante questo periodo della vita, predispongono più facilmente un individuo a condizioni come la philofobia. Figure genitoriali evitanti, ovvero scarsamente emotive e affettuose, apprendimento di modelli di relazione disfunzionale, sviluppo di uno stile di attaccamento insicuro (tre concetti tra loro collegati) possono portare una persona a sviluppare una concezione dell’amore e della relazione come qualcosa di poco sicuro, che richiede un grande investimento ma il cui esito è imprevedibile, e perfino minaccioso.

Un secondo fattore da considerare è rappresentato dalla cultura di appartenenza: si pensi ai contesti socio-culturali nei quali la relazione è finalizzata unicamente al matrimonio, che rappresenta un contratto e pertanto è un’unione combinata e decisa in base a criteri pragmatici. Sono da considerarsi allo stesso modo i contesti socio-culturali nei quali l’omosessualità o altre forme d’amore sono ufficialmente vietate, dalla legge oppure dalla religione. Innamorarsi, in questi contesti, è così poco contemplato che agli individui mancano una serie di apprendimenti culturali che rendono l’innamoramento e la relazione accettabili e vivibili, per cui si ha paura che “succeda”.

Un terzo fattore è da riscontrarsi nelle esperienze pregresse di vita: la philofobia può avere, per così dire, origini traumatiche. Essere lasciati, feriti, abusati, traditi o aver avuto esperienze relazionali che hanno generato sofferenza emotiva e/o fisica, possono facilmente indurre la persona in questione ad abiurare l’idea romantica e positiva dell’amore e a sviluppare una vera e propria fobia dei legami.

Come superare la paura di amare

Tornando al modello della paura spiegato in precedenza, possiamo certamente affermare che tutta la disfunzionalità delle fobie sta nel percepire come estremamente pericoloso qualcosa che in realtà non lo è, o almeno non tanto da minacciare realmente la nostra integrità psico-fisica. Il passo fondamentale per il superamento di una fobia è, infatti, comprendere quanto sia spropositata l’attribuzione di pericolo allo stimolo fobico rispetto alla sua reale pericolosità. E, in seguito, esporsi in modo graduale e controllato allo stimolo, proprio per verificarne l’innocuità e imparare a gestire l’ansia che da esso deriva.

Superare la philofobia è importante non soltanto per evitare le conseguenze negative che questa comporta, come ansia, depressione, isolamento sociale ecc., ma per aprirsi a esperienze che possono arricchire la nostra vita. La soluzione ideale è quella di rivolgersi a uno psicoterapeuta che sarà in grado di accompagnare la persona in un processo di esplorazione che permetta di individuare l’origine della philofobia, che è molto personale e diversa per ognuno, e successivamente di impiegare una serie di strumenti per fronteggiarla e superarla. Lo scopo è quello di ritrovare serenità con l’altro, sì, ma anche, e soprattutto, con sé stessi!

Bibliografia

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Sara Di Nunzio, Filofobia: Paura di amare, psicologinews.it, 2024

Alice Montanaro, Filofobia: quando la paura di amare diventa invalidante, su istitutosantachiara.it, 2021.

Valentina Scarselli, Filofobia: la paura di amare, ipsico.it, 2018.

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