Genitorialità

ADHD: come riconoscerlo e in che modo intervenire

ADHD, in italiano DDAI, è l’acronimo di Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività, un disturbo del neurosviluppo che ha esordio nell’età evolutiva e che comprende sintomi cognitivi o della condotta, che vanno a incidere sul benessere dell’individuo in vari contesti.

L’ADHD è un disturbo molto più comune di quanto si pensi. Si stima che circa il 3-4% della popolazione ne sia affetto, con un’incidenza maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Le cause dell’ADHD sono molteplici e includono fattori sia genetici che ambientali, la cui interazione contribuisce alla genesi del disturbo.

Esso può essere riconosciuto attraverso l’individuazione di una triade di sintomi, che comprende:

  • difficoltà di attenzione e mantenimento della concentrazione;
  • condotte impulsive;
  • iperattività, ossia irrequietezza comportamentale.

L’ADHD può manifestarsi in vari modi: in alcuni casi, si può manifestare con una prevalenza di sintomi cognitivi, mentre altre volte con una maggiore espressione di comportamenti di iperattività o impulsività.

Si distinguono tre presentazioni cliniche:

  • con disattenzione predominante;
  • con iperattività predominante;
  • forma combinata delle due precedenti.

Infine, spesso l’ADHD si presenta in comorbilità con il Disturbo oppositivo provocatorio o un disturbo d’ansia o depressivo.

Per poter effettuare la diagnosi di ADHD, sono necessari un attento esame clinico e un’osservazione strutturata del bambino da parte di un’equipe multidisciplinare, che comprende diverse figure professionali tra cui il neuropsichiatra infantile, lo psicologo, il logopedista e il terapista della neuro-psicomotricità. Inoltre, è fondamentale anche raccogliere informazioni dai genitori e dagli insegnanti, i quali possono fornire importanti informazioni circa l’anamnesi del bambino, le sue abitudini a casa e a scuola, e su come il disturbo si manifesta.

Secondo il DSM-V TR, per effettuare diagnosi di ADHD devono essere presenti almeno sei sintomi di disattenzione e/o iperattività, che devono presentarsi prima dei 12 anni di età con una persistenza di almeno 6 mesi, e che compromettono il rendimento scolastico e sociale del ragazzo.

Questo disturbo, infatti, può avere un risvolto negativo nella vita quotidiana dei giovani che ne sono affetti, con la presenza di scarse capacità sociali e un tono dell’umore spesso depresso o ansioso. È quindi fondamentale incrementare la conoscenza e la consapevolezza dell’ADHD tra gli insegnanti e i genitori, in modo che siano in grado di porre attenzione sulle eventuali manifestazioni che possono portare a diagnosticare il disturbo sin da subito.

Fortunatamente, di ADHD ad oggi si parla sempre di più ed è meno comune, a differenza del passato, che un bambino sia giudicato riduttivamente come “ribelle” o “maleducato”. Invece, oggi, si dà la giusta attenzione alla possibilità che si tratti del disturbo in oggetto, che necessita quindi di un corretto inquadramento e altrettanto mirate terapie.

La diagnosi, solitamente, viene confermata in età scolare, a partire dai sei anni, e ciò è dovuto al fatto che proprio a partire da questa età aumentano le richieste da parte dell’ambiente sociale e possono, dunque, manifestarsi i sintomi di cui abbiamo parlato.

La batteria di test utilizzata dai centri specialistici comprende test neuropsicologici, colloqui clinici con il bambino e interviste con la rete di persone significative (genitori e insegnanti), tese a raccogliere l’anamnesi e le informazioni circa l’andamento attuale.

Il progetto terapeutico deve essere sempre personalizzato, tenere conto della specificità e gravità dei sintomi. Infatti, in caso di manifestazioni moderate/gravi del disturbo, oltre ai trattamenti psicoterapeutici e psicomotori, si può rendere necessario un trattamento farmacologico.

Inoltre, le risorse familiari, sociali e personali del singolo bambino costituiscono ulteriormente un fattore determinante nella progettazione dell’intervento terapeutico specifico.

Le ricerche riguardo il trattamento dell’ADHD nel bambino considerano preferibile il trattamento in presenza: la terapia in presenza è il setting che nell’età evolutiva maggiormente favorisce lo strutturarsi della relazione terapeuta-bambino, elemento importante per la buona riuscita di qualsiasi intervento clinico.

Diverso può dirsi il discorso nel trattamento dell’adulto: considerando che in questa fascia d’età la sintomatologia legata all’iperattività/impulsività diminuisce, mentre si hanno maggiori manifestazioni cognitive (disattenzione) e della capacità di regolazione affettiva, il terapista valuterà se in quel caso specifico un intervento clinico a distanza possa essere efficace.

 

Contributo a cura di Dott.ssa Federica Cassola

Bibliografia

Bullegas, D., Mura, A., Romano, A. (2023). “In continuo movimento”: esperienze e prospettive di genitori con figli interessati da ADHD. Giornale italiano dei disturbi del neurosviluppo, 8(2), 31-46, https://hdl.handle.net/11365/1240374.

Associazione italiana per i disturbi di attenzione e iperattività, www.aidaiassociazione.com.

DSM-5, 2014, Raffaello Cortina Editore.

Mencacci C., Migliarese G., AA.VV. (2021), ADHD nell’adulto: Dalla diagnosi al trattamento, Edra editore.

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